Una decorazione cosmica perfetta per il 31 ottobre? Oggi parliamo di NGC 246, nota agli amici come la Nebulosa Teschio: il sudario di una stella morente dalla forma piuttosto stimolante per la fantasia umana!
L’universo è infinitamente vasto e popolato da oggetti di ogni sorta, con forme e sfumature di luce per tutti i gusti. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che gli astronomi abbiano osservato dei fenomeni adatti per qualsiasi occasione. Anche aiutati, bisogna dirlo, dalla spiccata capacità che l’essere umano possiede nel riconoscere schemi familiari in configurazioni che, in realtà, non hanno niente di speciale.
Ed ecco che, in occasione della festa di Halloween, mi trovo a presentarvi questo gioiello della galassia: la nebulosa NGC 246 (che in pratica significa «oggetto numero 246 del New General Catalogue»). Denominazione tremendamente asettica, me ne rendo conto. Per nostra fortuna, l’aspetto di questa nube di gas interstellare le è valso il nome alternativo di «Nebulosa Teschio» (Skull Nebula).
Si tratta di una cosiddetta nebulosa planetaria e dista da noi circa 1600 anni luce. Il nome «planetaria» deriva dal fatto che, nei telescopi del Settecento, tali formazioni apparivano a volte come piccoli dischi simili ai pianeti; in effetti, le nebulose planetarie non hanno nulla a che vedere con i pianeti (ma vallo a dire agli astronomi!).
Ma cos’è esattamente una nebulosa planetaria? Ebbene, in breve è il letto di morte di una stella. Più precisamente di una stella con massa piccola o intermedia, cioè avente grosso modo da una volta a 8-10 volte la massa del Sole. Proprio così: in un lontano futuro, eventuali osservatori di un remoto esopianeta potrebbero ammirare qualcosa del genere al posto del nostro sistema solare!
La nebulosa planetaria NGC 246, meglio conosciuta con il nome di Nebulosa Teschio, fotografata dal VLT (Very Large Telescope) dell’ESO. Essa rappresenta l’inviluppo di gas espulso da una stella morente al termine dello stadio di gigante rossa. Il nucleo stellare, ormai spoglio e inerte, diventerà una nana bianca e continuerà a raffreddarsi per miliardi di anni.
Crediti: ESO
Le stelle non sono altro che immensi globi di plasma, ossia di gas incandescente dove al posto di atomi neutri si hanno, a causa delle temperature elevatissime, elettroni e ioni positivi (cioè atomi privati di una parte o della totalità dei propri elettroni) in libera circolazione. (Un atomo neutro contiene tanti elettroni, di carica elettrica negativa, che orbitano intorno al nucleo quanti sono i protoni, carichi positivamente, racchiusi in quest’ultimo, così da produrre una carica totale nulla.)
Dopo essersi condensati da fredde e rarefatte nubi galattiche di idrogeno ed elio, per autogravitazione i giovani astri si compattano e riscaldano sempre più. Fino a quando, nei loro nuclei centrali, la temperatura non raggiunge milioni di gradi e i nuclei atomici di idrogeno iniziano a fondersi, creando nuclei di elio. E grazie alla poderosa energia che tali processi di fusione nucleare rilasciano, la pressione del gas rovente controbilancia la forza di gravità, stabilizzando la nuova stella.
Finché sussiste equilibrio in questo tiro alla fune, tra l’autogravitazione e la forza d’espansione del gas, la stella seguita a irraggiare regolarmente l’energia nucleare che produce. Ma prima o poi l’idrogeno del nucleo inizia a scarseggiare e le reazioni nucleari calano d’intensità. Questo momento può giungere dopo miliardi di anni, nel caso di stelle paragonabili al Sole, ma anche nel giro di pochi milioni di anni se l’astro è molto massiccio e «brucia» con voracità la propria riserva di combustibile (non a caso le stelle pesanti sono le più luminose… e meno longeve).
Quando una stella di massa piccola o media si ritrova un nucleo di elio inerte, l’equilibrio si rompe: la temperatura precipita e l’autogravitazione prevale sulla pressione verso l’esterno. La stella ricomincia pertanto a implodere, come già era accaduto durante la sua infanzia. La compressione scalda nuovamente il nocciolo e, raggiunta una temperatura di almeno cento milioni di gradi (sette volte quella che attualmente si registra nel nucleo solare!), i nuclei di elio prendono parte a ulteriori reazioni di fusione: unendosi danno vita a nuclei di carbonio e ossigeno.
L’energia liberata in questa fase è talmente grande che gli strati esterni dell’astro vengono sospinti via dalla pressione, espandendosi a dismisura e raffreddandosi. La stella aumenta la propria superficie di oltre diecimila volte e assume un colore rossastro, motivo per cui gli astrofisici la definiscono «gigante rossa». Allorché verrà il turno del nostro Sole, la sua atmosfera assorbirà e ridurrà in vapore i pianeti Mercurio e Venere. La Terra, quand’anche venisse risparmiata, non sarà più abitabile da molto, molto tempo. Ma niente panico: tutto ciò non avverrà prima di altri quattro o cinque miliardi di anni. Direi che i problemi imminenti sono ben altri.
Lo stadio di gigante rossa, tuttavia, dura relativamente poco in termini astronomici: per una stella di tipo solare, che ha trascorso circa dieci miliardi di anni a fondere l’idrogeno nel nucleo, parliamo di un paio di miliardi di anni o giù di lì.
Esaurito anche l’elio, una stella come il Sole o poche volte più massiccia non raggiunge le temperature necessarie allo sfruttamento del carbonio in qualità di ulteriore combustibile nucleare. Privato definitivamente di una fonte d’energia, il nucleo collassa finché la repulsione tra gli elettroni sovraffollati non ne bilancia la gravità. I gusci di gas esterni della gigante rossa, rigonfi e diradati, si dissolvono nello spazio interstellare e lasciano esposto il cuore collassato. Quest’ultimo è ancora caldissimo e, con la sua emissione ultravioletta, rende luminescente l’involucro di gas in espansione.
Et voilà, ecco fatta una nebulosa planetaria. Al centro, nudo e destinato a un lentissimo raffreddamento, il nucleo stellare esaurito: una stellina blu che, dopo qualche tempo, si affievolirà assumendo l’aspetto di una «nana bianca». Poche decine di migliaia di anni bastano affinché i gas nebulari svaniscano nell’oscurità dello spazio e la nana bianca rimanga isolata, condannata all’oblio infinito.
La Nebulosa Teschio gode di un’altra particolarità, oltre al nome che una specie di scimmie poco pelose le ha affibbiato: è la prima nebulosa planetaria contenente un sistema triplo gerarchico a essere stata scoperta! Infatti la nana bianca (quanto resta della stella progenitrice) è legata gravitazionalmente a una stella compagna, una fioca nana rossa, dalla quale dista circa 500 volte la distanza media Terra-Sole; una terza componente orbita a sua volta intorno alla coppia centrale, a più o meno 1900 volte la distanza Terra-Sole da quest’ultima.
In ogni caso, trovo NGC 246 un ottimo oggetto astronomico che un nerd potrebbe usare, in formato poster, come decorazione a tema per Halloween!