Il telescopio spaziale James Webb ha rivelato la presenza di un buco nero supermassiccio nella galassia da record GN-z11, così lontana da apparirci com’era 13,4 miliardi di anni fa. Come poteva esistere un simile mostro del cielo quand’erano trascorse poche centinaia di milioni di anni dal Big Bang?
GN-z11 è una delle più lontane galassie mai osservate. Nelle immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble (HST) appare come una flebile, insignificante macchiolina rossastra. E parlando di enormi distanze, in cosmologia, si finisce per considerare le epoche del remoto passato. La luce si propaga a una velocità grande, ma finita: circa 300 000 kilometri al secondo o, se preferite, un anno luce all’anno (con un anno luce che equivale a quasi 10 000 miliardi di km). Ebbene, la luce che oggi ci arriva da GN-z11 ha cominciato la sua traversata intergalattica 13,4 miliardi di anni or sono. Dato che l’universo ha un’età stimata in 13,8 miliardi di anni (più precisamente in 13,79 ± 0,02 miliardi di anni), stiamo guardando l’immagine di una galassia che esisteva già 400 milioni di anni dopo il Big Bang!
La sigla «z11» nel nome della galassia fa riferimento al cosiddetto spostamento verso il rosso, o redshift, misurato nello spettro della sua luce. Com’è noto, l’universo si espande e le galassie esterne al nostro Gruppo Locale sembrano allontanarsi tanto più rapidamente quanto maggiore è la loro distanza. Le onde luminose che le galassie emettono, di conseguenza, vengono «dilatate» mentre attraversano lo spazio in espansione che le separa dall’osservatore (in questo caso noi). Tale aumento nelle lunghezze d’onda, che si manifesta appunto come uno spostamento verso il rosso (generalmente indicato con z) delle caratteristiche visibili nello spettro, è tanto più marcato quanto più spazio devono percorrere le onde luminose. Pertanto, conoscendo il tasso di espansione dell’universo, è possibile stimare la distanza di una galassia dalla misura del suo redshift. (A proposito del redshift cosmologico, questo video potrebbe aiutare a farsene un’idea.)
Pensateci un attimo: i fotoni che i nostri strumenti raccolgono da GN-z11 furono emessi quando né la Terra, né il sistema solare e neppure la stessa Via Lattea erano ancora nati. Veri e propri segnali da un passato lontano oltre ogni immaginazione. I telescopi sono davvero macchine del tempo, quasi certamente le uniche di cui mai potremo disporre.
La remota galassia GN-z11, con la sua posizione in un più esteso campo visivo, osservata dall’HST. La luce che ci raggiunge oggi da quella lontanissima oasi cosmica ha iniziato il suo viaggio 13,4 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva solo il 3% dell’età attuale. L’espansione cosmologica sottopone la radiazione della galassia a un fortissimo redshift, facendola apparire molto rossa e debole. Al suo interno il JWST ha individuato un buco nero supermassiccio in rapido accrescimento.
Crediti: NASA, ESA, and P. Oesch (Yale University)
Le osservazioni compiute nell’infrarosso dal rivoluzionario telescopio spaziale James Webb (JWST) hanno scovato un buco nero supermassiccio, con una massa dell’ordine di un milione di volte quella solare, annidato nel cuore di GN-z11. I gas in caduta verso il buco nero spiralano formando un anello di accrescimento, che raggiungendo temperature altissime emette intense radiazioni. La giovane galassia, che ha solo un centesimo delle dimensioni della Via Lattea, risplende vivamente di questa luce e tradisce così l’esistenza del mostro.
Ora, che le galassie ospitino degli enormi buchi neri al loro interno è fatto risaputo (la nostra Via Lattea non fa eccezione). Tuttavia, stando ai modelli attuali, la formazione di tali mostruosità celesti richiederebbe come minimo qualche miliardo di anni: esse nascerebbero dai buchi neri più piccoli che le stelle di enorme massa creano quando muoiono, i quali crescerebbero poi a dismisura entrando in coalescenza e divorando grandi quantitativi di gas dalla galassia ospite.
Ma nel caso di GN-z11 qualquadra non cosa. Come abbiamo visto, essa risale ad appena 400 milioni di anni dopo l’origine dell’universo. Come fa il suo buco nero ad aver acquisito una massa tanto grande in così poco tempo? Il processo di accrezione sta avvenendo a una velocità spaventosa, molto maggiore che nei buchi neri supermassicci sviluppatisi in epoche successive. Sappiamo che le galassie con buchi neri tanto famelici non hanno un futuro roseo: l’ingordigia eccessiva porta questi ultimi a generare violente emissioni di materia che spazzano via le riserve di gas necessarie alla nascita di nuove stelle, determinando la «morte» prematura delle galassie.
La presente scoperta, pubblicata sulla rivista «Nature», porta a chiedersi: buchi neri come quello di GN-z11 nascono già enormi o crescono molto più velocemente del previsto? E quali sono i loro autentici progenitori? Interrogativi a cui le strabilianti capacità dimostrate dal JWST aiuteranno a trovare risposta.
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ESO, ESA/Hubble, M. Kornmesser