I dati ottenuti nel primo anno di attività del progetto DESI (Dark Energy Spectroscopy Instrument) hanno prodotto la più estesa mappa 3D dell’universo. L’obiettivo è stabilire come sia variata l’espansione cosmologica durante i miliardi di anni di vita dell’universo e quale influenza abbia avuto su questo processo la misteriosa energia oscura.
Il DESI è uno strumento, collocato sul telescopio Mayall di 4 metri del Kitt Peak National Observatory (Arizona), pensato per realizzare una mappa spettroscopica in 3D di un grandissimo numero di remote galassie. Lo scopo è determinare come sia cambiata l’espansione dell’universo nell’intervallo di tempo che va da 11 miliardi di anni fa ai giorni nostri, provando a chiarire il ruolo giocato dall’energia oscura nel corso dell’evoluzione cosmica.
I risultati preliminari ottenuti dopo il primo anno di raccolta dati hanno permesso di ricostruire la più estesa e dettagliata mappa tridimensionale dell’universo. In particolare, i ricercatori sono riusciti a misurare l’espansione cosmologica avvenuta tra gli 8 e gli 11 miliardi di anni fa con un livello di precisione superiore al punto percentuale (le misurazioni, cioè, si riferiscono a oggetti situati tra 8 e 11 miliardi di anni luce da noi). L’analisi dati in questione è stata pubblicata in via preliminare con vari papers sul sito arXiv.
La più grande mappa tridimensionale dell’universo ottenuta con il DESI. Nell’ingrandimento è chiaramente visibile la cosiddetta ragnatela cosmica, la struttura su vasta scala in cui si distribuisce la materia (oscura e non) nel cosmo. La Via Lattea sarebbe collocata al centro degli «spicchi» mostrati nella mappa.
Crediti: Claire Lamman/Collaborazione DESI
Per stabilire il tasso di espansione dell’universo a varie epoche, gli scienziati misurano le dimensioni delle cosiddette BAO (Baryon Acoustic Oscillations, «oscillazioni acustiche dei barioni»). Si tratta di «bolle», o meglio fluttuazioni di densità, nella distribuzione cosmica della materia visibile, nate in seguito alla presenza di leggere disuniformità nel gas che riempiva l’universo primordiale.
Le BAO rappresentano una fattispecie di «regolo», un punto di riferimento per misurare in quale modo è variata la velocità d’espansione dell’universo durante la sua storia. Sfruttando diverse tipologie di galassie a seconda della distanza considerata, è possibile ricavare le dimensioni delle BAO in differenti epoche cosmiche e, da lì, risalire al tasso di espansione.
Ecco uno schema concettuale semplificato di come si possa misurare l’espansione dell’universo mettendo in relazione le dimensioni delle BAO (o «bolle») con le distanze (epoche cosmiche passate). Galassie di vari tipi e quasar fungono, a seconda della distanza, da «tracciatori» per stabilire le dimensioni delle bolle.
Crediti: Claire Lamman/Collaborazione DESI
Un notevole miglioramento, che ha consentito di stimare con precisione inedita l’espansione dell’universo oltre gli 8 miliardi di anni fa, lo si è ottenuto utilizzando anche i quasar come «tracciatori», insieme alle galassie normali. In sostanza, i ricercatori hanno osservato l’ombra che i gas interposti creano sulla luce in arrivo dai quasar retrostanti.
Successivamente si costruisce un diagramma dove vengono messe in relazione le dimensioni delle BAO con le distanze (o epoche cosmiche del passato) considerate. Il diagramma viene quindi tarato sulla base della teoria più in voga sull’evoluzione dell’universo, chiamata modello ΛCDM. Quest’ultimo prova a descrivere la storia del cosmo considerando l’azione delle sue principali componenti: l’energia oscura, intesa come una costante cosmologica (simbolo: Λ) che alimenta l’espansione dell’universo; e la materia oscura fredda (CDM, da Cold Dark Matter), che si suppone essere formata da particelle invisibili ma di grande massa, la cui gravità tende invece a frenare l’espansione.
Piccola parentesi. Fa sempre un certo effetto pensare che l’universo conosciuto, ovvero la materia visibile (che interagisce con la radiazione elettromagnetica), sia solo una minima parte del cosmo. Il 69% dell’universo è costituito da energia oscura, l’entità di cui ignoriamo totalmente la natura che sta accelerando l’espansione cosmologica, mentre un altro 26% è dovuto alla materia oscura, altrettanto enigmatica ma che si manifesta per i suoi effetti gravitazionali sulle galassie. Tutta la materia accessibile non rappresenta che un misero 5% del contenuto cosmico!
Con i dati disponibili al momento, il diagramma sopraccitato si accorda abbastanza bene con il modello ΛCDM. Tuttavia, a detta degli scienziati coinvolti nello studio, emergono anche delle tenui discrepanze. Queste potrebbero riassorbirsi via via che nuovi dati andranno accumulandosi, così come potrebbero divenire la conferma che la nostra attuale descrizione dell’universo vada aggiustata.
Al termine della survey, che durerà complessivamente cinque anni, il DESI mapperà la bellezza di trentasette milioni di galassie e tre milioni di quasar. La quantità e la qualità dei dati promettono di contribuire a una migliore comprensione del cosmo, della sua evoluzione e dei grandi misteri che ancora attendono di essere svelati.